giovedì 16 novembre 2017

Performance d'arte a scuola

Non scrivo su questo blog da un paio d'anni. L'immissione in ruolo in una scuola lontana da casa prima, l'arrivo nella scuola definitiva  (stavolta vicina a casa) poi, mi hanno impedito di dedicarmi al blog come avrei voluto. Essere prof e mamma di due bambini non è cosa semplice di questi tempi. Sì, lo so che là fuori ci sono mamme bravissime che riescono a fare mille mila cose, anch'io tutto sommato non me la cavo male, ma nella corsa continua e frenetica di tutti i giorni qualcosa rischia di essere trascurato. E io, tra i miei bambini e il blog, ho scelto di sacrificare per un pochino il blog. Ma spero di correre ai ripari!

Vi racconto una tra le tante cose belle che organizza la mia nuova scuola, la prima della mia vita in cui non abbia dovuto fare le valigie allo scoccare del 30 giugno. Siamo in un quartiere della periferia est di Roma, un quartiere multietnico dove abitano tante famiglie diverse, per provenienza, cultura e tradizioni, un quartiere che per certi aspetti sembra un piccolo paesino per i suoi negozi come quelli di una volta, un quartiere che certamente ha bisogno di una scuola "forte", che rappresenti un punto di riferimento a livello culturale.


In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (sarebbe bello potesse non esistere una simile ricorrenza, ma tant'è...), l'anno scorso avevamo organizzato un flash-mob, in cui dopo le esibizioni delle varie classi che avevano preparato letture e rappresentazioni teatrali, abbiamo ballato tutti insieme sulle note della canzone "One billion rising". Io avevo ideato con la mia 3F una performance, in cui un ragazzo e una ragazza erano uno di fronte all'altra (tutta la classe si era divisa in coppie ed era coinvolta nell'esibizione). Dapprima il ragazzo diceva alla ragazza frasi ingiuriose, violente, del tipo "Non capisci nulla!", "Con quella minigonna sembri una poco di buono!", "Hai le tue cose?", insomma frasi che le donne si sentono spesso dire, purtroppo, e che influiscono sulla loro autostima e sul loro comportamento. Poi, lo stesso ragazzo pronunciava frasi amorevoli e gentili, esaltando una caratteristica bella della compagna che aveva di fronte (questa parte, a differenza dell'altra, era realistica: in precedenza avevo invitato i ragazzi a dire cosa trovassero di veramente bello nella compagna che avevano di fronte). 
La nostra performance fu molto apprezzata e poiché - specialmente dopo aver letto il libro dell'artista e performer Marina Abramovic "Attraversare i muri" - mi sono appassionata a questa forma d'arte, ho voluto ideare anche quest'anno, sempre per la stessa occasione, un'altra performance, in cui la classe si dispone in cerchio. Al centro ci sono un ragazzo e una ragazza che anche stavolta sono uno di fronte all'altra. A differenza dell'altra performance, però, stavolta nessuno dei due parla. Si guardano, si scrutano, si studiano, si girano attorno, tentano un approccio tendendo le mani, se l'altro accetta la possibilità di un rapporto, fa un gesto o si apre in un abbraccio. Nel momento in cui uno dei due decideva di voler interrompere il contatto, poteva tornare nel cerchio e al suo posto sarebbe venuto qualcun altro a tentare un rapporto con chi era rimasto nel cerchio.
E' stato davvero bellissimo vedere i miei ragazzi e le mie ragazze mettersi in gioco, far uscire lati nascosti di sé o comunque comportarsi dentro una performance come avrebbero fatto nella vita vera: chi approcciandosi con gentilezza, chi timidamente, chi più insistentemente. 

Cosa volevano rappresentare queste performances? La prima voleva avere l'effetto di mettere a confronto due diversi atteggiamenti degli uomini: un atteggiamento violento e vessatorio contro un atteggiamento rispettoso e pieno d'amore. La seconda voleva rappresentare il flusso naturale dei rapporti umani: un uomo e una donna si incontrano, si piacciono, decidono di stare insieme, ma nel momento in cui uno dei due decide di voler interrompere il rapporto, deve essere libero di poterlo fare, andando per la sua strada. Per chi resta solo, c'è la certezza-speranza che esiste la possibilità di un nuovo rapporto, ugualmente valido e soddisfacente.